Come Fesik Campania teniamo a dare il nostro ultimo saluto a Dino Piccini, il quale può a ragione essere considerato un esempio da emulare per quanti si approcciano alla disciplina del Karate. Non solo, nella pratica marziale come pure nella vita, Piccini era solito possedere un grosso «senso della misura» che in più di una occasione disse d’avere mutuato proprio dal Karate: «Il Karate mi ha insegnato il senso della misura: mi ha insegnato a controllarmi e a far sì che il mio avversario stia tranquillo, che io sono tranquillo».
Sicuramente molti tra voi lo conosceranno, ma noi teniamo comunque a ricordarlo per la persona che era, per la sua appassionante vita, non solo per i traguardi raggiunti.
Piccini dunque – uno dei pionieri delle Arti Marziali – nasce in un anno non semplice per l’Europa, dilaniata com’era dal termine della Prima Guerra Mondiale: stiamo parlando del 1920. A Firenze, città che gli ha dato i natali, comincia l’attività di canottaggio verso la metà degli anni Trenta, quando aveva solo 17 anni, conseguendo presto il titolo di campione. Poi, in congiunzione, l’approdo al pugilato che in anni recenti ha definito «uno sfogo necessario per il carattere che avevo […] e visti i tempi di ‘magra’, dove mancava un po’ di tutto».
Ma anche il pugilato sentiva essere una disciplina che non lo appagava del tutto e che, anzi, la sua ricerca verso qualcos’altro si stava facendo via via più ardente: così, dopo la Seconda Guerra Mondiale, comincia la sua avventura nel Judo:
«Uscito indenne da quei cinque massacranti e pericolosi anni di guerra, sono tornato a Firenze, dove ho trovato miseria e ben poco lavoro… Ho avuto un figlio, Roberto, che già a due anni portavo con me nella palestra ad assistere a lezioni di judo che, in quel momento, sembrava la pratica sportiva più adatta a me. Richiedeva molto rispetto ed era in grado di infondere la giusta disciplina».
Ma come successivamente ebbe a definire durante il corso di una delle ultime interviste rilasciate: se è vero che il Judo gli ha dato «mezza vita», il Karate gli ha «dato una vita»:
«Il Judo mi ha dato mezza vita; il Karate mi ha dato una vita. Me ne ha data mezza perché continuavamo a parlare di questo Karate…».
E fu così che, ben presto, si proclamò l’avvio della sua lunga carriera nella disciplina alla quale rimase legato per tutta la vita: cominciò infatti prima col maestro francese Edmond Voyer – che gli «aprì la strada», poi prese a frequentare il Kodokan di Firenze, seguendo le lezioni impartite dal “padre” del Karate italiano, Vladimiro Malatesti. Non molto interessato a premi e riconoscimenti, nel corso della sua longeva vita Piccini ne riceverà comunque innumerevoli: primo fra tutti, nella carriera marziale, il diploma di cintura nera Yoseikan Budo rilasciato da Edmond Voyer nell’ottobre del 1958 a quel gruppo di pionieri che, insieme Piccini, furono Campolmi, Brogi, Bettoni e Picchi.
Forse a quel ragazzo, che cercava di «mantenere un profilo basso, senza vanterie», sfuggiva la portata rivoluzionaria di quanto stava accadendo, grazie anche al suo contributo, nell’Italia all’esordio dei primi anni ’60: nel settembre del ’61, infatti, Piccini, insieme col gruppo di pionieri proclamato da Voyer, riuscì a portare in Italia – non certo con poche difficoltà economiche ed organizzative – Tetsuji Murakami, maestro esperto di Shotokai.
Del maestro con gli anni, con grande rispetto e devozione, Piccini ricorderà soprattutto la durezza delle sue lezioni ma anche il definitivo ascendente che ha avuto sulla formazione della sua personalità oltre che del suo spirito marziale:
«Le sue lezioni erano molto dure, quanto le sue punizioni che dovevamo accettare per poter crescere. Il karate di allora funzionava così. Ma lui era un grande “Maestro” e mi preparò con altri quattro amici per meglio capire e affrontare questa arte marziale. Davamo pugni e calci al Makiwara, un’asse di legno fissata a poca distanza dal muro, a volte con corde intrecciate ma anche direttamente sul legno. Questi erano gli allenamenti a cui dovevamo sottostare, per poi prepararci al Tameshiwari, ossia la rottura di tavolette o mattoni».
Lo stage che si tenne col Murakami vide la partecipazione di soli venti aderenti, quei tanti che bastarono a contribuire all’avvio della storia del Karate italiano: «Il Karate è un’organizzazione della quale io sono orgoglioso perché non c’era in Italia ed è venuto in Italia» – ha commentato posteriormente Piccini.
Firenze così, col suo “Judo Club” fondato da Dino Piccini, venne a significare il centro nevralgico del Karate Italiano, attorno al quale gravitarono poi altri personaggi illustri, come Maltoni, Cappai e Vacchi, Luciano Padoan, Bruno De Michelis e molti altri. Nel 1975 fondò una nuova società assieme al figlio Roberto che pure aveva intrapreso la medesima strada del padre, la “G.S. Karate Sesto Fiorentino”. Successivamente rinominata “Renbukan Sesto Fiorentino”, è una società ancora oggi molto attiva e portata avanti con grande successo da Roberto Piccini, ora maestro 7° Dan. Infine, nel 1968 Piccini abbandonò lo Shotokai per tornare allo Shotokan; aderì alla Aik e poi alla Fesika del maestro Shirai.
Innumerevoli i premi e i riconoscimenti ottenuti dal Piccini nel corso della sua lunga carriera da karateka, tanto più nell’ultimo decennio: iscritto presso la nostra federazione dal 2015, nel 2018 gli è stato conferito, a Gaeta, il 9° Dan, poi il 20 Novembre 2020 – giorno del suo centesimo compleanno – la Fesik l’ha insignito del 10° Dan.
Per concludere, ci teniamo a farlo con una frase del Piccini che forse meglio fra tutte racchiude il senso della sua filosofia di vita, certamente improntata al «rispetto verso me stesso e gli altri, in modo da vivere bene solo e in compagnia».
Sabrina D’Angelis – Ufficio Stampa Fesik Campania
(N.B. Parte del materiale utilizzato per le citazioni deriva da un’intervista condotta da Roberta Bezzi per la Federazione Italiana Fitness)